Nuova intervista esclusiva per The Tonight Blog Show.
Oggi vi presentiamo Alexis Sweet, un regista italo-inglese di cui avrete sicuramente sentito parlare.
Ha diretto, infatti, numerose serie e miniserie televisive, e ce ne parla in questa intervista dove racconta i suoi esordi al fianco di Steven Spielberg fino alla regia dell'ultima stagione di Don Matteo.
Come sempre, abbiamo preferito domande dal taglio più "tecnico", che potessero illustrare il lavoro e i meccanismi cinetelevisivi.
Alexis, hai iniziato come collaboratore, lavorando anche con Spielberg: che ricordi hai di quella esperienza? Di cosa ti occupavi di preciso?
Era nel 1983, avevo 20 anni ed ero alle prime esperienze.
Il mio
ruolo era quello del terzo aiuto regia in seconda unità. Il compito
della seconda unità era di finire scene che la prima aveva iniziato (girando dettagli e personaggi secondari), girare scene d’azione autonome e
anche girare come terza e quarta macchina da presa insieme alla
prima unità (scene impegnative e d’azione).
Ho
lavorato su quel film per 5 mesi nei teatri di EMI a Londra Nord. Non
vedevo Spielberg tutti i giorni, ma era sempre vicino girando con la
prima unità. Ma avevo occasione di incontrarlo, affiancandomi a lui sui
lunghi corridoi che connettevano un teatro ad un altro. In quei preziosi
incontri parlavamo del film e mi chiedeva come andava in seconda unità.
Avevamo
un anamatic (un antico formato video) con una versione di tutto il
film girato in animazione 2D. Questo video era molto crudo e poco
rifinito, ma era montato esattamente con i tempi del film finito, una
specie di storyboard animato di tutto il film. Spesso lo usavamo per
capire esattamente cosa girare e quanto durava l’inquadratura che
dovevamo fare.
Ecco, se
ho imparato qualche cosa da quella esperienza, è stato l’immenso
impegno che il Regista ha messo prima di girare il primo ciak.
Fare i compiti è stata la lezione più importante.
Adesso quasi tutti i miei film sono accompagnati da storyboard che raccontano le scene più impegnative.
Sei stato molto attivo anche come regista di spot televisivi: è un mondo così diverso da quello del cinema e della tv?
Dipende dal tipo di spot. Ci sono degli spot che durano anche 90 secondi e diventano come dei piccoli cortometraggi.
Dipende dal tipo di spot. Ci sono degli spot che durano anche 90 secondi e diventano come dei piccoli cortometraggi.
Diciamo
che l’intenzione dello spot è diversa, perché come meta ha la vendita di
qualcosa, ma come tecnica e uso degli strumenti, come attori,
scenografia, luci ecc… è tale e quale al cinema.
Quello
che ho imparato facendo spot è raccontare delle storie in poco tempo,
cioè la sintesi del racconto. Questo ritmo e “arrivare al dunque” di
una scena, l’ho riportato sulle mie serie televisive. E forse nella mia
prima serie (Ris- Delitti Imperfetti) il ritmo è stato notato e
apprezzato.
Hai diretto una delle miniserie di qualità più amate dal pubblico: Il Capo dei Capi. La prima, in epoca odierna, a trattare la vita di un "cattivo". Ne seguirno importanti polemiche -le stesse che poi hanno investito altri prodotti, da Romanzo Criminale in avanti-. Cosa pensi a riguardo?
Penso che abbiamo inventato “l’acqua calda”(ride): da parecchio tempo l’America ci propone serie che girano intorno a
personaggi negativi, basta ricordarsi dei Sopranos. Forse la novità
nostra è il coraggio di raccontare la vera storia di Totò Riina,
una persona della quale gli intrecci con la politica italiana hanno
continuato ad esistere anche durante lo svolgersi delle riprese. Basta pensare quanto
tempo ci hanno messo, dopo la morte di Pablo Escobar, a pensare di fare la serie Narcos.
Infatti la polemica più comune fatta sulla serie era di esaltare il criminale Riina, ma in difesa voglio specificare che noi abbiamo raccontato tutta la vita criminale di Riina, dal 1943 al 1993, e un capo mafioso che dura tutti quegli anni non può che nascere purtroppo da un personaggio carismatico.
Infatti la polemica più comune fatta sulla serie era di esaltare il criminale Riina, ma in difesa voglio specificare che noi abbiamo raccontato tutta la vita criminale di Riina, dal 1943 al 1993, e un capo mafioso che dura tutti quegli anni non può che nascere purtroppo da un personaggio carismatico.
Non solo, ma abbiamo anche raccontato 50 anni di storia italiana occulta, ciò che non si legge nei libri di storia.
la locandina de Il Capo dei Capi - immagine web |
Sempre parlando de Il Capo dei Capi, pensi che la scelta di inserire
la figura positiva di un poliziotto fu decretata dal rischio far
sembrare il serial come l'esaltazione della vita di un criminale?
Può
essere che ci sia stato anche quel pensiero, ma la vera motivazione di
creare l’unico personaggio fittizio -quello di Biagio Schirò- era per poter
avere un unico testimone di tutti i crimini compiuti dai Corleonesi.
Mi
spiego meglio: Biagio, per un'alchimia puramente televisiva si incontra
con tutti nostri Eroi dello Stato (Falcone, Borsellino, Della Chiesa…) così quando l’inevitabile succede, noi attraverso Biagio soffriamo per
la morte di quelle figure, altrimenti diventerebbe solo un lungo elenco
di cadaveri eccellenti.
La seconda motivazione è per creare l’idea della scelta:
Riina ha scelto il crimine, il suo amico d’infanzia no. Queste
diverse strade simbolizzano anche la decisione che deve prendere il
cittadino e quindi lo spettatore.
Sei attivo anche nella lunga serialità, con Ris e Squadra Mobile: come si affrontano lavori come questi, dove si arriva a girare anche per 7/8 mesi consecutivi?
Con difficoltà; alla fine di una lunga serie
spesso mi si può raccogliere con il cucchiaino. Ma questo è il metodo di
certe case di produzione italiane. Nei paesi anglosassoni una serie è
mediamente di 10 puntate da 50 minuti, se ne occupano dai 3 ai 6 registi, questo perché c’è un forte allineamento editoriale nella figura
dello showrunner. Adesso mi è capitato di girare 8 puntate per Don
Matteo 11 e prima di me c’erano altri 2 registi, questo metodo di
dividere il lavoro mi sembra più saggio. Almeno quando arrivo a girare
sono riposato e con la mente fresca…
Il Tredicesimo Apostolo: due stagioni e nessuna continuazione (né finale) per una fiction diversa dalle altre. Quali sono le cose che secondo te hanno funzionato, e quali meno? L'Italia non era ancora pronta per un prodotto del genere?
Indubbiamente era un prodotto più per Netflix che per Canale 5.
Il Tredicesimo Apostolo era disegnato per essere di 3 stagioni.
La prima
stagione, chiamata Il Prescelto, portava per mano lo
spettatore nel mondo del paranormale in maniera soft e poco ansiosa.
Con la
seconda stagione, La Rivelazione, si alzava la
temperatura: è il classico secondo atto dove tutti i problemi del protagonista vengono esaltati.
Forse il nostro sbaglio è stato dimenticare quanto sia generalista la televisione italiana.
Avevamo
un grosso riscontro con un pubblico 15/30 anni, ma quando il target è
7/70 puoi capire che sei destinato a fallire. Mi è dispiaciuto molto
perché speravo che con questo prodotto avremmo potuto scrivere una nuova
pagina nel panorama televisivo italiano.
Alexis Sweet con Claudio Gioè sul set de Il Tredicesimo Apostolo - immagine web |
Presto ti rivedremo in tv come regista del nuovo episodio di Ultimo, quinto capitolo di una saga che appassiona il pubblico sin dagli anni '90. Come ti sei approcciato alla serie rispetto al passato? Che taglio ha questo nuovo capitolo rispetto agli altri?
Prima di tutto la storia di Ultimo 5 è ambientata
nel mondo internazionale del narcotraffico.
I nostri
mafiosi sembrano dei dilettanti quando
incontrano la ferocia dei narcos messicani, quindi la posta in gioco si
alza notevolmente. Il mondo che noi trattiamo è il mondo del film
Sicario della serie El Chapo e quindi anche Ultimo deve cambiare
strategia.
Il film è
girato tra l’Italia e il Messico per dare più realismo alla storia, ma
anche Ultimo si deve confrontare con un realismo più spietato del
passato. Ormai non è più un giovane idealista all’alba dei suoi 30 anni,
ma un uomo maturo all’alba dei 50.
Direi
che Ultimo 5 è più dark, più attuale… lo vedrei come un Ultimo 2.0, sempre
mantenendo l’eroismo e la tenacia del nostro protagonista Raoul Bova.
con Raoul Bova sul set di Ultimo 5 - immagine web |
Cosa guarda l'Alexis Sweet telespettatore? Quali registi ama? E che tipo di opera sogna di poter dirigere?
Come regista mi piace raccontare storie scritte
dagli altri, non mi considero un “autore”, dunque mi piacerebbe fare
tutti i tipi di genere, dalla commedia al western.
In Italia ho fatto molte serie di genere crime, ma il caso ha voluto che mi
stiano facendo fare anche opere di commedia e serie familiari.
I registi che ammiro sono gli stessi che ammiravo al cinema e che adesso fanno
televisione: David Fincher – Mind Hunter, Barbet Schroeder – Madmen…
Credo
che ora come ora le migliori cose scritte, siano state scritte per la
televisione: non c’è occasione migliore, oggi, per fare serie
televisive.
Come ti approcci al casting? Vai "a pelle" o fai molte prove prima di scegliere l'attore che ritieni più giusto?
Un po’ tutti e due, ma non credo che tutti gli
attori possano fare tutto, quindi provo a trovare l’attore che possa avvicinarsi maggiormente all’idea che hanno avuto gli sceneggiatori su
quel personaggio e sull’idea che io stesso ho di quel personaggio…
indubbiamente faccio vari call-back prima di decidere un protagonista.
Ami di più dirigere personaggi buoni o grandi cattivi?
Tutti e due, basta che siano scritti bene. Ma mi
diverto ancora di più a scegliere un attore che ha sempre fatto un "good guy" e farlo diventare un "villain" come ad esempio Daniele Liotti in Squadra Mobile, o Sergio Friscia ne Il Capo dei Capi: un comico, che in quella serie interpretava un killer.
Nelle tue fiction si nota facilmente il "tocco Sweet": la tua impronta è molto riconoscibile. Essendo british, noti una differenza registica tra te e i tuoi colleghi italiani?
La risposta l’hai messa nella domanda, sono british… (ride).
Ultimamente ti abbiamo visto dirigere Squadra Mobile con Giorgio Tirabassi (qui la nostra intervista esclusiva). La storia potrebbe continuare: ci sarà un terzo capitolo di questa fiction?
Purtroppo non credo, non vedo entusiasmo o motivazioni da parte di Canale 5. Mi dispiace, ma forse lo sbaglio è a monte, quando è uscito Squadra Mobile la stampa l’ha venduto come uno spin-off di Distretto di Polizia solamente perché c’era Giorgio Tirabassi che riproponeva il ruolo di Ardenzi.
Ma la somiglianza finiva
lì. Di Distretto non c’era più niente e quindi chi l’ha visto
sperando di trovare l’anima e i personaggi di quell'opera è rimasto
deluso… ancora adesso c’è
qualche fan che continua chiedermi quando torna Mauro Belli (personaggio di Distretto interpretato da Ricky Memphis, il cui destino non fu mai chiarito - n.d.r.)!
Per concludere, quale consiglio daresti ai giovani registi italiani?
Quando feci i miei primi cortometraggi (fine anni '70) si girava in pellicola con Super 8mm reversibile… il tuo positivo era in negativo (non potevi stamparla) e in montaggio ti giocavi il tutto per tutto perché se sbagliavi il taglio te lo tenevi. Il suono stava a 16 fotogrammi dal visuale e quindi durante un dialogo dovevi aspettare sempre mezzo secondo prima che l’altro personaggio rispondesse… un vero disastro!
E dopo
aver speso parecchi soldi per creare il tuo film “capolavoro” lo mandavi
ai pochissimi festival che esistevano e metà di quei film venivano
divorati dal proiettore stesso.
Non c’è mai stato periodo migliore per un regista come quello attuale.
Le
cinecamere semiprofessionali sono di ottima qualità, i software di
montaggio sono super comprensibili ed efficaci, e come premio finale hai
una distribuzione chiamata Youtube che ti collega istantaneamente con
milioni e milioni di spettatori… detto ciò, tutto quello che mancava
all’epoca mia è esattamente quello che manca oggi: le idee.
E’ dall’idea che deve partire il regista. Ricordiamoci che le migliori storie sono sempre quelle ri-scritte mai scritte.
Il mio
consiglio ai registi di oggi è di investire più tempo possibile alla
ricerca della storia e solo quando la storia (riguardandola,
riscrivendola, riesaminandola) è pronta, allora investire i soldi per
produrlo.
Vi ricordo cosa ho imparato dal vecchio Steven: fai di tutto per mettere a fuoco quello che vuoi fare prima di farlo.
Ringraziamo il regista Alexis Sweet che ci attende in tv con Ultimo 5 e gli episodi finali di Don Matteo 11.
Ringraziamo il regista Alexis Sweet che ci attende in tv con Ultimo 5 e gli episodi finali di Don Matteo 11.
Splendida intervista che aiuta a capire come funziona la testa di un regista veterano!
RispondiEliminaComplimenti sia all'intervistatore per le belle domande che all'intervistato per le risposte dettagliate!
Sì, preferiamo domande tecniche su cinema e tv, che aiutino a capire lavoro e ragionamenti alla base delle proposte^^
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Sono curioso di vedere gli ultimi episodi di Don Matteo diretti da lei. Darà una bella sterzata di azione?
RispondiEliminaNon credo: non dipende dal regista, che si occupa di mettere in scena semplicemente quel che autori (sceneggiatori, soggettisti) hanno scritto...
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